Artista: The Who. Anno: 1971
Who’s Next: la genesi dell’album
Gli Who sono tutto e l’opposto di tutto: sono dolci e intimi, rabbiosi e violenti, semplici e sofisticati, tutto questo è Who’s Next!
Un album che si concentra sui giovani, sul futuro che non c’è per i ragazzi che si devono smarcare dal passato e la necessità di una rivoluzione per uscire da questa era distopica governata dagli adulti.
Quali sono gli elementi più potenti di ogni rivoluzione? L’amore e la rabbia.
Qual è la persona più predisposta a fare la rivoluzione per guadagnarsi il futuro? I giovani
In alcuni articoli precedenti avevo già scritto come spesso in momenti difficili numerose band riescono a fare emergere veri e propri capolavori e gli Who con Who’s Next seguono questa tendenza.
Ad inizio anni Settanta la band di Townshend e Keith Moon attraversa infatti una serie di delicati momenti che mette a dura prova la tenuta della band: “persa” l’amicizia con i Rolling Stones volati in Francia, la band si trova sotto forte pressione in quanto la loro opera “Lifehouse” implose e non vide mai la luce. A questo bisogna aggiungere che il loro storico manager Kit Lambert era ormai stato allontanato dallo stesso Pete a causa della sua incapacità di produrre i pezzi a causa di seri problemi con la droga.
Leggenda vuole che presso lo studio mobile dei Rolling Stones, parcheggiato a Stargroves, la tenuta di Mick Jagger, Pete Townshend registrò la prima versione di Won’t get fooled again, il capolavoro che chiude l’album e, insieme a Baba O’Riley, incastona Who’s Next nel Mount Rushmore della musica rock.
Who’s next è uno, anzi il capolavoro degli Who di Pete Towshend (chitarra e autore di molte canzoni), Keith Moon (batteria), John Entwistle (basso elettrico) e Roger Daltrey (voce), album ricco di canzoni diverse tra di loro ormai immortali. Ad un primo ascolto veloce un qualsiasi neofito musicale dovrebbe essere in grado di riconoscere al volo almeno due canzoni: la celebre Baba O’Riley e Won’t Get Fooled Again…e su quest’ultima canzone sono pronto a giocarmi una mano che qualcuno esordirà dicendo: “E’ la canzone di C.S.I!”. Sì, è proprio quella, ma anche dall’uso e dal fatto che a distanza di 50 anni sia ancora una canzone utilizzata è un indicatore della qualità di queste canzoni. Who’s Next, quindi, non è una semplice opera rock, ma un disco di rock ’n’ roll bello e audace, eseguito e prodotto in modo superbo, che fa riflettere ed entusiasma.
Gli Who: da ribelli a Who’s Next
Gli Who nascono e iniziano a diventare famosi con le loro canzoni ribelli e un atteggiamento scenico e musicale decisamente irriverente (vedere o meglio ascoltare Tommy), tanto che Townshend era solito maltrattare il pubblico e distruggere la chitarra alla fine di ogni performance. Questo atteggiamento irriverente e distruttivo sotto certi aspetti ad un certo punto non è stato più un punto di forza per il gruppo, ma un punto di debolezza in quanto potevano fare i “teppistelli” per un paio d’anni e non per una vita intera, ma soprattutto perché volevano dimostrarsi artisti seri e non semplici ribelli tutto fumo e niente arrosto.
Who’s Next, quindi, può essere visto come la nuova vita degli Who: un gruppo composto da artisti seri, tecnici, profondi, più accessibili e ormai lontani da quell’indole ribelle che aveva caratterizzato la loro ascesa. Inoltre, Who’s Next è anche il primo disco prodotto in autonomia dalla band dopo la disastrosa esperienza di Shel Talmy.
Con Who’s Next tutti questi nobili intenti sono riusciti. La musicalità è eccellente, i valori tecnici dei componenti emergono e a tratti sorprendono, Keith Moon, leggenda della musica rock e batterista del gruppo, “picchia” più preciso che mai su disco, Entwistle inventa deliziosi abbellimenti ritmici e melodici, come nella base sotto il ritornello di Won’t Get Fooled Again, e infine Townshend svaria a 360° svariando da melodie più ritmiche e acustiche a potenti colpi e assoli articolati.
La produzione dell’album, invece, viene svolta dallo stesso Townshend in collaborazione con Glyn Johns nel duplice ruolo di ingegnere del suono e coproduttore.
Il manifesto musicale della band ribelle, trasgressiva, molto scenica (e poco tecnica) è quindi un disco dal sound curato, nitido, stilisticamente studiato e molto emotivo. Riportando le parole dello stesso Townshend “un album di compromesso”.

Tracce
Lato A
Baba O’Riley – 4:58
Bargain– 5:33
Love Ain’t for Keeping – 2:10
My Wife – 3:33
Song Is Over – 6:16
Lato B
Getting in Tune – 4:48
Going Mobile – 3:42
Behind Blue Eyes – 3:41
Won’t Get Fooled Again – 8:31
Baba O’Riley
Il Who’s Next si apre con la maestosa Baba O’Riley, dedicata al maestro spirituale Meher Baba ed a Terry Riley, il creatore della musica minimale. La canzone è un capolavoro che a distanza di anni è ancora oggi un pezzo fresco, ma crudo, ipnotico e ammaliante.
La traccia ha una notevole durata, 5 minuti esatti, ma il testo, la parte cantata, occupa solo 2 minuti. Baba O’Riley tratta di problematiche giovanili, di ragazzi che ad inizio anni ’70, disillusivi dall’era hippie e davanti alla guerra, un po’ come la parte finale di Let It Bleed, si trovano a lavorare, a parlare di rivoluzioni e a lottare per la pagnotta quotidiana “Out here in the fields, I fight for my meals”. I giovani ascoltatori vengono però in qualche modo rincuorati dal forte messaggio di speranza della canzone: “Don’t cry, Don’t raise your eye, It’s only teenage wasteland”.
Questo capolavoro avrebbe dovuto infatti intitolarsi “Teenage wasteland”, come il ritornello ben urlato e ripetuto nel pezzo.
È quindi solo desolazione e disincanto giovanile, “the happy ones are near”, i tempi migliori sono vicini, crescendo troverete il vostro posto nel mondo, questo è il messaggio della canzone.
La traccia è caratterizzata dall’uso ipnotico e accattivante del sintetizzatore, l’inizio inizia con una melodia ipnotica, quasi straniante, che viene ripresa anche in chiusura. Un uso importante del sintetizzatore che vuole quasi mettere fine ai futuri dibattiti non ancora iniziati sulla veridicità della musica elettronica in opposizione alla sincerità delle chitarre. L’ascoltatore è quindi preso per mano e portato dentro la canzone e successivamente accompagnato fuori.
Meritevoli di menzione speciale sono le parti finali di violino suonate da Dave Arbus.
Baba O’Riley termina impazzendo, al minuto 4.10 l’ascoltatore viene introdotto nel caos rabbioso della disperazione giovanile che ha appena ascoltato.
Con Baba O’Riley gli Who, e più nello specifico Townshend, offrirono ai fans più puri per la prima volta il sintetizzatore. La sfida è vinta. Nei loro futuri live le parti d’organo e pianoforte vennero sostituite dalla chitarra, rendendo Baba un brano di estremo successo anche nei live.
Bargain
Segue Bargain, un pezzo decisamente diverso e forse addirittura opposto alla canzone di apertura.
Una semiballata caratterizzata da un coinvolgente riff principale di Townshend e della incredibile prova alla batteria di Keith Moon. E proprio lui che merita un piccolo approfondimento, l’apporto di Keith Moon in questo album è straordinario, ogni canzone è diversa ma incredibilmente bella e la batteria è spesso lo strumento che cattura maggiormente l’orecchio. Keith John Moon, infatti, morto pochi anni dopo l’album (1978), nel 2011 è stato classificato secondo, dietro a un certo John Bonham, nella classifica dei migliori batteristi di tutti i tempi redatta da Rolling Stones.
In Bargain, viene utilizzato il sintetizzatore ARP come strumento solista e anche come sottofondo per gli assoli di chitarra, alternando momenti rabbia a momenti di calma nonostante i momenti di debolezza e di riflessione evocati dagli incisi del pezzo.

Song Is Over
Song Is Over è una delle pochissime tracce sopravvissute al precedente progetto musicale e atterrate su Who’s Next. La canzone non è altro che la metafora della storia d’amore, la più importante, alla fine della quale si risponde con accettazione e spirito proiettato in avanti, ecco quindi i “wide open spaces” e le “sky high mountains” che aprono il ritornello. Così come per Baba, anche qui il messaggio è chiaro: anche dopo la fine e la rottura della relazione c’è futuro, ci sono ampi spazi per essere felici.
È un brano di rara bellezza, Pete Townshend canta divinamente sopra un armonico sottofondo suonato a pianoforte da Nicky Hopkins, aprendo la canzone e poi alternandosi a Daltrey che invece si gasa in modo trascinante sullo stacco, con cambi di accordi mozzafiato.
Il brano nasce armonioso e poi prende vita e consistenza e, in un climax rock, cresce d’intensità focalizzando l’attenzione dell’ascoltatore ancora una volta su Keith Moon alla batteria. Il piano di Hopkins c’è anche nella dolce Getting In Tune.
Behind Blue Eyes
Behind Blue Eyes è la canzone più toccante di tutto Who’s Next, una struggente ballata capolavoro degli Who.
E’ infatti una delle ballate maggiormente riprese e coverizzate di sempre, mostri sacri come Bryan Adams e Sheryl Crow l’hanno fatta loro. Il successo di questa canzone in un disco di amori poco felici ma a ritmo rock è la tristezza pervasiva del brano, dove il celebre ritornello emoziona e travolge l’ascoltatore.
Fa specie che in uno dei brani capolavoro della band la batteria di Keith Moon rimanga ferma, quando attacca c’è già stata un’armonia che ha coinvolto tutti e tre gli altri membri degli Who.
In questa canzone c’è uno spaccato di vita che, a distanza di cinquant’anni dall’uscita di Who’s Next, è possibile ritrovare in ognuno di noi: le rotture e i cuori spezzati in epoca giovanile. Esse sono veri e propri macigni perché sono i primi veri ostacoli, i primi turbamenti che un ragazzo o una ragazza affronta. Con il cuore a pezzi i giovani vanno avanti da soli, perché il cuore non verrà mai curato e nessuno è in grado di capire il loro stato d’animo e il loro dolore. Ecco, quindi, che le prime parole della canzone ci portano proprio a questo stato d’animo triste e solitario “No one knows what it’s like…”, nessuno sa cosa si prova ad essere [inserire parola d’effetto].
Il dolore, soprattutto da ragazzi, spesso si trasforma in rabbia, in attribuzione di colpe altrui, e la frase “My love is vengeance that’s never free” segue questa strada.
Il momento chiave della canzone però è il ritornello struggente e decisamente più profondo rispetto a tutta la canzone: But my dreams, they aren’t as empty, as my conscience seems to be. Ma i miei sogni non sono così vuoti come sembra essere la mia coscienza è una frase che guarda dritto negli occhi l’ascoltatore e lo colpisce a tradimento con un pugno allo stomaco.
Won’t Get Fooled Again
Gli Who decidono di concludere il loro Whos’ Next con l’immortale Won’t Get Fooled Again.
In questo pezzo della durata di 8.31 minuti, dopo la drammaticità e la profondità e la calma di Behind Blu Eyes, torna prepotentemente protagonista il sintetizzatore; l’uso di questo strumento nel brano, ma in tutto l’album in generale rendono il disco una pietra miliare del rock sperimentale ed elettronico degli anni Settanta.
Questo brano, a differenza degli altri, è l’unico politicizzato.
Tutto in questa canzone è perfetto, dalla batteria di Moon al virtuosismo di Townsend, dal basso di Entwistle all’urlo rabbioso e deluso di Daltrey nel finale. La versione estesa di Won’t Get Fooled Again mette ulteriormente in risalto l’aggressività tipica degli Who negli anni precedenti.
Aperta anch’essa da una parte di synth, Won’t get fooled again è passa subito a un rock sfrenato e combattivo con i primi versi “we’ll be fighting in the street, with our children at our feet“, inneggiando quindi a una rivoluzione che non lascia indietro nessuno, nemmeno i bambini. È un grido di battaglia vivo, un urlo primordiale a fare da scivolo per i power chords di Pete, un altro esperimento con il synth molto ben riuscito.
Sulla scia dell’iconica My generation di sei anni prima, anche questa volta Pete riesce a firmare un manifesto incazzato e rabbioso; qui, però, alza l’asticella della critica dalla bolla dei teenager al mondo adulto, incrementando la gravità della denuncia. Il testo, infatti, esalta, ma nello stesso tempo mette in dubbio la rivoluzione, un continuo swift tra l’orgoglio di averla fatta e dubbi sulle possibili degenerazioni, tra la consapevolezza dei rischi ai saluti alla new constitution con a capo gente che ha le «barbe cresciute in una notte», ossia i giovani ora a capo del nuovo mondo
Curiosità di Who’s Next: La copertina
Lifehouse, l’opera degli Who che non vide mai la luce, voleva raccontare le avventure di un eroe (mi)sconosciuto che voleva salvare la società dalla condizione distopica in cui era precipitata, l’opera aveva quindi come obiettivo quello di sfociare in una dimensione futuristico-distopica, certi aspetti, infatti, sono presenti anche in Who’s Next. Ispirato da “2001 Odissea nello Spazio”, il fotografo Ethan Russell portò la band nella città mineraria di Easington Colliery, dove il grigio, che avrebbe dovuto ricordare la Luna e dare una sensazione distopica, fredda e impersonale, era dominante e dove da una montagna di rifiuti si ergeva un parallelepipedo di cemento, che a sua volta era perfetto per omaggiare l’obelisco intorno al quale si raggruppavano le scimmie del film di Stanley Kubrick.
È interessante notare come l’arte sia una cosa sola, che si trasforma e influenza sé stessa e gli altri. 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick non ha solo ispirato gli Who, ma anche David Bowie e il suo Ziggy, Elton John e il suo Rocketman e molti altri musicisti.