Artista: The Clash. Anno: 1978
London Calling dei The Clash è senz’ombra di dubbio uno degli album più iconici della storia della musica, un punk-rock molto energico ricco di pepite d’oro di assoluta qualità e con una copertina ormai universalmente riconosciuta come capolavoro.
I The Clash nel 1977 pubblicano il primo omonimo album di successo: The Clash, 1977.
Dopo il successo dell’omonimo album The Clash del 1977, il successo planetario avvenne però con l’immortale London Calling del 1979.
I The Clash sono da sempre un’icona punk, un gruppo ribelle e rabbioso tanto da essere impresso nella memoria collettiva come quelli che spaccano la chitarra.
Il gruppo è formato da Joe Strummer (voce), Paul Simonon (basso), Terry Chimes alla batteria, poi sostituito da ”Topper” Headon e Keith Leven (seconda chitarra) che anche lui abbandonerà la band prima del successo planetario.
Il disco contiene 19 pezzi leggendari e unici, ci sono stili diversi uniti però da un fil rouge punk rock dalla forte connotazione ribelle e sovversiva, sia nelle musiche sia nei testi delle canzoni.
Come già detto, questo disco è una miniera d’oro, una raccolta di tutte le mille sfaccettature della musica rock: si va dal rock di London Calling, di Death Or Glory e di Brand New Cadillac, al reggae di Revolution Rock, passando per lo stile jazz di Jimmy Jazz e al pop primordiale come in Lost in the Supermarket.
London Calling: la genialità dei The Clash e contesto
La genialità di questo album però sta anche nell’aver saputo unire magistralmente le musiche rivoluzionarie tipiche del rock e del punk a testi invece profondi, intimi e introspettivi. I temi affrontati sono svariati: c’è la guerra spagnola in Spanish Bombs, i crimini del nazismo come Clampdown, le difficoltà delle persone che vivono nei ghetti come in The Guns of Brixton o anche l’anti-colonizzazione che caratterizza Kola Kola.
La band, mantenendo sempre ben salde le radici nel popolo, tra la gente comune, riesce ad unire tutti i temi e le canzoni in maniera armonica e credibile. L’ascoltatore non viene catapultato dalla guerra civile spagnola ai crimini nazisti, ma viene accompagnato con musiche e testi in un viaggio storico-culturale caratterizzato dalla rabbia.
London Calling non è quindi un semplice album, è una vera e propria dichiarazione politica del suo tempo. Il senso di questo album è proprio questo: non è più sufficiente cancellare e fare tabula rasa del passato, il passato è importante va ricordato, ma bisogna avere lo sguardo aperto verso il futuro. Questa idea a fine anni 70 non è così scontata. L’Inghilterra affronta numerosi problemi: l’inflazione, la disoccupazione, il razzismo, la crisi petrolifera, il Fronte Nazionale che tenta di prendere possesso delle strade e la polizia che usa una violenza mai vista prima, e tutto questo porta all’ascesa di Margaret Thatcher come diventa primo ministro, mentre negli States Ronald Reagan si fa portatore della democrazia del frivolo (edonismo).
Paradossalmente l’unica cosa che non riesce a trovare posto in London Calling: è il progressive-rock, quell’idea secondo cui nel rock ci debba essere un progresso verso l’arte quasi come una forma di avanguardia storica.
La grande rivoluzione estetica del punk afferma esattamente il contrario: nella storia del rock non c’è alcuna evoluzione, nessuna tendenza verso una maggiore complessità. Anche con una tecnica ridotta all’osso si possono produrre opere di grande impatto.
Il rock è arte solo nella sua genuinità, solo se legata alle origini. Le origini del rock and roll non appartengono al passato, ma sono un modello sempre attuale: il rock nasce infatti da un suono selvaggio che nel corso della storia ritorna sempre perché è la massima espressione della cultura (e della rabbia) popolare.

Tracce
London Calling – 03:20
Brand New Cadillac – 02:08
Jimmy Jazz – 03:54
Hateful – 02:43
Rudie Can’t Fail – 03:28
Spanish Bombs – 03:18
The Right Profile – 03:54
Lost in the Supermarket – 03:46
Clampdown – 03:49
The Guns of Brixton – 03:12
Wrong ‘Em Boyo – 03:11
Death or Glory – 03:55
Koka Kola – 01:47
The Card Cheat – 03:49
Lover’s Rock – 04:03
Four Horsemen – 02:55
I’m Not Down – 03:06
Revolution Rock – 05:33
Train in Vain – 03:14
London Calling
London Calling dei The Clash, brano che da il titolo all’album, non è una scelta banale, ricorda infatti la celebre frase pronunciata dall’annunciatore radiofonico statunitense Edward R. Murrow durante la Seconda guerra mondiale.
La canzone racconta all’ascoltatore come “war is declared and battle come down” cioè che la guerra è decisa e inizia la battaglia. All’annuncio di questa guerra però segue subito una frase significativa: noi non siamo i salvatori, “now don’t look to us / Phoney Beatlemania has bitten the dust”, non rivolgetevi a noi, la sciocca Beatlemania ha morso la polvere suona come un definitivo saluto agli innocenti anni ’60 caratterizzati dai Fab4.
L’arrivo dell’Apocalisse, a metà tra l’esagerazione e lo scherzo, passa anche attraverso l’utilizzo di figure retoriche come “The ice age is coming, the sun’s zooming in, engines stop running, the wheat is growing thin”, dall’era glaciale che sta arrivando si passa al sole che implode passando per il grano rachitico.
L’aspetto che mi ha sempre colpito di più di questa iconica canzone è la forza dell’immaginazione che si trasforma in preveggenza. Nel 1979 i Clash pubblicavano un album che raccontava scenari apocalittici dovuti a un nuclear error che effettivamente avverrà qualche anno dopo a Chernobyl (1986). Mi piace sottolineare questo aspetto perché secondo me rende ancora più evidente l’attenzione e la capacità di cogliere le inquietudini del tempo attraverso uno sguardo reale e non attraverso una postazione privilegiata. A discapito di molti pregiudizi che vedono il rock, e ancor di più il punk, come “casino e poco altro”, i The Clash dimostrano che nella stesura del testo vi è un’attenzione maniacale che a tratti diventa profezia.
All’annuncio di London Calling segue quindi un ritratto esagerato e distopico del difficile periodo nel quale l’ascoltatore vive, ma, come successo anche con We Won’t Get Foold Again degli Who, il brano termina con una vera e propria chiamata alle armi, un vero canto di rivoluzione: “Forget it, brother, we can go it alone”, un messaggio chiaro di distacco con il passato e di unione di forze, l’unione dei singoli, per finalmente poter fare la rivoluzione per salvare il mondo.
Spanish Bombs
Un altro brano che racconta di guerre e rivoluzioni è sicuramente Spanish Bombs. Se London Calling raccontava lo scenario, il contesto, i motivi che portano alla chiamata alle armi, Spanish Bombs invece entra nel merito della guerra civile spagnola e accompagna per mano l’ascoltatore a diventare un vero e proprio compañeros.
Il brano sicuramente racconta la guerra civile spagnola e gli attentati dell’IRA, ma la leggenda vuole che ci sia un sottotesto meno rivoluzionario e più dolce: si racconta infatti che il brano sia dedicato a Palmolive, batterista delle Slits.
Rispetto alla prima canzone che apre il disco Spanish Bombs presenta un ritmo meno marcato ed aggressivo sebbene mantenga la chiara impronta punk rock dei Clash. C’è una netta contrapposizione tra le strofe e il ritornello: le strofe raccontano dei danni causati dalle bombe, della morte di Fredric Lorca, delle tombe imbrattate di sangue e della guardia civil, il ritornello, invece, dice che “yo te quiero infinito, yo te quiero, oh mi corazón”. La dedica d’amore stona quindi con il contesto di guerra civile raccontato. Forse anche per questa contrapposizione la leggenda racconta che la canzone in realtà sia stata dedicata a una donna
The Guns of Brixton
The Guns Of Brixton è un brano che presenta sonorità reggae.
In questo brano molto cupo le corde scandiscono il ritmo quasi rassegnato della canzone, la veridicità del brano passa anche attraverso la voce di Simonon, bassista, nato a Brixton, difficile quartiere londinese simbolo delle lotte della comunità “black”.
Il brano più che un grido di aiuto è una vera e propria denuncia delle condizioni di vita di Brixton e delle violenze nel quartiere. Il ritornello non lascia spazio ad interpretazioni: you can crush us, you can bruise us, yes, even shoot us.
Le strofe invece raccontano il daily struggle della gente di Brixton: “You see, he feels like Ivan, born under the Brixton sun, his game is called survivin’, at end of the harder they came” oppure ancora “When they kick and your front door how you gonna come? With your hands on your head or on the trigger of your gun”.
La gente di Brixton non ha quindi possibilità di crescita, ma soprattutto nemmeno di speranza. Ivan è solo un esempio, le condizioni di vita, il contesto e le condizioni lavorative, che come già detto sarebbero peggiorate con Margaret Thatcher, obbligano Ivan a una sopravvivenza giornaliera. In questi contesti non è quindi difficile immaginare il tasso di criminalità, quando la polizia verrà a bussare alla porta come ne esci? Con le mani dietro la testa o con una pistola in mano?
La domanda che mi sono fatto spesso ascoltando questo brano di London Calling è la seguente: i Clash sono una band punk rock, perché in questo brano di denuncia così vicino a loro non hanno più utilizzato un genere rock più spinto? La risposta che mi sono dato e che urlare alla folla già arrabbiata un inno rivoluzionario con un ritmo distruttivo avrebbe provocato numerosi danni, sia agli ascoltatori sia alla band stessa. Così come i Rolling Stones vennero accusati di satanismo, anche i Clash avrebbero rischiato di essere accusati di sovversione e incitamento alla delinquenza. Il ritmo reggae scelto smorza un po’ la rivoluzione e diventa un brano di denuncia e non di chiamata alle armi.
Revolution Rock
Anche per Revolution Rock i Clash si affidano ancora una volta alle sonorità reggae per invocare, come fosse un rito, il rock rivoluzionario. I fiati e le tastiere di Micky Gallagher danno un tocco di calypso da spiaggia caraibica. Per chi fosse un vago conoscitore della musica reggae e caraibica, queste musiche potrebbero tranquillamente essere state pensate da Lord Tanamo, quello di Come Down per intenderci, il rock e la voce tipica dei Clash si mischiano a sonorità a loro lontane anni luce il risultato è… magnifico.
“This here music mash up the nation, this here music cause a sensation” è l’incipit che viene ripetuto più volte, questo è un brand new rock che crea e ti fa vivere determinate sensazioni.
Nonostante musiche più calme rispetto a London Calling i Clash non si smentiscono e non rinunciano comunque appuntare il dito e denunciare, questa volta contro i mobster, i malavitosi che uccidono e spacciano.

Curiosità su London Calling dei Clash: Elvis Presley in copertina
Nel corso della recensione ho scritto più volte che questo disco vive nel presente raccontando il passato con un occhio sul futuro. Questo legame tra presente e passato è chiaro sin da subito, sin dall’iconica copertina che ritrae l’immortale bassista dei Clash Paul Simonon nell’atto di infrangere al suolo con rabbia il suo basso durante un concerto al Palladium di New York.
Ma il significato della copertina è ben più profondo, non è solo la forza della rivoluzione di London Calling dei Clash. Il richiamo al re del rock Elvis Presley è evidente. Se messe a confronto le due cover presentano una foto in bianco e nero scattata durante un’esibizione live.
Se da un lato colpisce questa similarità, che assume la valenza dell’omaggio al re del rock, dall’altro lato, l’analogia mette in risalto quello che sembrerebbe un contrasto stridente. La foto della copertina ispiratrice ritrae Elvis mentre canta a squarciagola imbracciando la propria chitarra, quella dei Clash invece ritrae un momento di “anarchia”. La grande efficacia comunicativa della cover è riposta nella sua contraddittorietà: il rapporto di odio e amore dei Clash nei confronti degli USA. Il contrasto evoca inoltre ancora lo scontro generazionale, quello su cui il punk aveva fondato il proprio credo.
